La pandemia Covid-19 ha esacerbato le difficolta’ legate alla crescita economica che già caratterizzavano l’andamento dell’Italia. Nel decennio 1999 – 2019 il prodotto interno lordo italiano è cresciuto in totale solo del 7,9%, contro un aumento di oltre il 30% di Germania, Francia e Spagna. L’incapacità di cogliere le opportunità legate alla trasformazione digitale, la lentezza nelle riforme strutturali e gli investimenti pubblici e privati insufficienti hanno portato ad una situazione di produttività subottimale.
Le fasce che sono state impattate maggiormente da questa situazione economica di declino sono soprattutto i giovani e le donne. L’Italia purtroppo è il paese dell’Unione Europea con il maggior numero di NEET, ragazzi tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione. Inoltre, ha un basso tasso di partecipazione delle donne al mondo del lavoro (53,8% contro la media europea del 67,3%). La situazione è ulteriormente aggravata nel Sud del paese.
L’Unione Europea ha risposto alla crisi legata al Covid-19 con il Next Generation EU (NGEU). Si tratta di un programma volto a rilanciare l’economia dei paesi membri e che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale, migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori e conseguire una maggiore equità̀ di genere, territoriale e generazionale.
Al fine di poter beneficiare dei fondi erogati dall’UE gli stati membri devono presentare un pacchetto di investimenti e riforme: da qui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Secondo il report Digital Economy and Society Index (DESI) del 2020 l’Italia occupa il terzultimo posto fra gli stati membri dell’UE, con un punteggio pari a 43,6 (rispetto al dato UE del 52,6).
Possiamo quindi capire il perché il Next Generation EU (NGEU) rappresenta un’opportunità imperdibile per il nostro paese al fine di poter ritornare tra le economie più competitive a livello europeo.
Il PNRR varato dal governo Draghi si articola si 6 missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute.
In particolare, il 27% delle risorse totali del PNRR sono dedicate alla transizione digitale, la cui strategia si sviluppa su due assi:
Il Ministero per l’Innovazione Tecnologica indica che l’obiettivo della transizione digitale (Italia Digitale 2026) è “garantire che tutti i cittadini abbiano accesso a connessioni veloci per vivere appieno le opportunità che una vita digitale può e deve offrire e per migliorare il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione rendendo quest’ultima un alleato nella vita digitale dei cittadini”.
Italia Digitale 2026 si struttura su 5 obiettivi, che vengono riportati nell’immagine qui sotto:
Gli obiettivi sono molto ambiziosi, soprattutto considerando le caratteristiche dei gruppi impattati (un elevato numero di cittadini e dipendenti delle pubbliche amministrazioni spesso con un basso livello di competenze digitali) e le tempistiche molto ristrette per un progetto molto complesso che vede un ammodernamento significativo delle infrastrutture.
Accade molto spesso che quando si parla di trasformazione digitale ci si concentri sulla componente tecnica dell’iniziativa (nuovi processi, strumenti, sistemi) a discapito della componente umana, che invece rappresenta un elemento chiave per il successo di un’iniziativa di cambiamento.
Nella proposta di valore unificata elaborata da Prosci possiamo vedere che per un’iniziativa di cambiamento di successo dobbiamo considerare e integrare sia la componente tecnica (project management) che quella umana (change management). Focalizzarsi unicamente su una o sull’altra spesso porta ad un ROI notevolmente inferiore rispetto a quello che si era prospettato.
Fonte: Prosci
Nel caso di Italia Digitale 2026 si tratta anche di attuare un profondo cambiamento culturale: passare da una Pubblica Amministrazione caratterizzata da un’intricata burocrazia, da una modalità operativa a silo e da un’inefficienza troppo spesso cronica a una pubblica amministrazione snella, digitale e al servizio del cittadino. Il cambiamento non consiste “solo” nella trasformazione dell’architettura digitale della Pubblica Amministrazione e nel portare entro il 2026 circa il 75% delle PA italiane a utilizzare servizi in cloud. Occorre anche gestire le componenti quali il cambiamento del modo di pensare/credenze e dei comportamenti critici delle persone impattate dal change.
Occorre anche lavorare nel prevenire e gestire la resistenza al cambiamento dei cittadini e dei dipendenti della PA in chiave preventiva (e non solo reattiva) e supportare gli individui nel loro percorso di cambiamenti individuale (ad esempio utilizzando ADKAR) al fine di facilitare l’adozione e l’utilizzo dei nuovi strumenti e piattaforme che verranno messi a disposizione.
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