Negli ultimi mesi ho ricominciato a viaggiare dopo una pausa di quasi due anni dovuta alla pandemia Covid-19. Ho notato che rispetto a due anni fa molte compagnie aeree, hotel, uffici e luoghi dove si svolge la formazione sono diventati molto più attenti al tema della sostenibilità ambientale. Ad esempio, i piatti e i bicchieri monouso di plastica sono stati sostituiti da prodotti in materiali più facilmente riciclabili. Negli hotel si trovano più frequentemente gel mani e doccia in formato gigante in contenitore riciclabile invece dei prodotti per toilette monouso. Nelle aule dove si fa training sono pressoché scomparsi i fogli di platica elettrostatici per dare spazio ai fogli da lavagna bianca di carta preferibilmente FSC.
La sostenibilità è un’iniziativa di cambiamento che va al di là di semplici procedure e contenitori per la raccolta differenziata. Infatti, come dimostra il caso Toyota, può conferire un notevole vantaggio competitive per le aziende. E per avere successo questo cambiamento deve essere affrontato anche dal punto di vista della componente umana: determinare il successo dell’iniziativa tenendo conto dell’adozione e utilizzo delle persone impattate da questo nuovo modo di lavorare.
Nell’articolo pubblicato dalla Harvard Business Review “The Link Between Competitive Advantage and Corporate Social Responsibility” Michael E. Porter and Mark R. Kramer discutono di come la relazione tra business e società e il successo a livello aziendale e il benessere della società non dovrebbero essere trattati come un gioco a somma zero. Infatti, se guardiamo alla corporate social responsibility (CSR) in modo strategico, essa diventa una fonte importante per il progresso sociale e aziendale. Le organizzazioni per avere successo hanno bisogno di una collettività sana: formazione scolastica, benessere sul lavoro ed equità. Ogni collettività sana necessita di organizzazioni di successo per creare lavoro, ricchezza e innovazione per migliorare le condizioni di vita nel tempo.
Molte organizzazioni hanno iniziato ad occuparsi di sostenibilità solo a seguito della pressione esercitata dai consumatori. Si pensi ai casi della Nike che è stata oggetto di boicottaggio negli anni 90 a seguito degli articoli apparsi sul New York Times che ne denunciavano le discutibili pratiche di lavoro in Indonesia o al caso di BP e il disastro ambientale nel Golfo del Messico che ha portato alla dipartita del CEO a seguito della pressione di ambientalisti e dei cosnumatori.
Spesso le aziende non sono preparate a rispondere in modo adeguato (strategico e operativo) quando questi rischi si materializzano e si limitano ad un’azione che Porter e Kramer definiscono “cosmetica”. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad un proliferare di report sulla CSR che si limitano a elencare le iniziative filantropiche e attività che non vengono misurate in termini di effettivo impatto ambientale, ma unicamente in termini di ore di volontariato o soldi investiti. Si assiste a quello che viene chiamato “greenwashing”, ovvero attività di pubbliche relazioni che si focalizzano sul millantare caratteristiche sostenibili di alcune iniziative aziendali e prodotti, che però non si traducono nella realtà dei fatti.
Non è inusuale per grandi gruppi finanziari di parlare di “investimenti verdi e sostenibili”, per poi risultare tra i principali investitori di società le cui attività contribuiscono al riscaldamento globale (global warning).
Si è anche assistito ad un proliferare di ranking sulla CSR, che non hanno una valenza univoca e specifica e contribuiscono a creare ulteriore confusione poiché i criteri utilizzati variano in modo considerevole da un report all’altro. Inoltre, la misurazione dei dati è spesso basata su questionari o autovalutazioni la cui validità non è stata verificata esternamente in modo oggettivo.
Spesso il caso per la CSR si basa su quattro argomenti, nessuno dei quali è definito chiaramente nei suoi confini e nella sua misurazione:
Il primo è l’obbligo morale, ovvero la necessità per un’azienda di fare la cosa giusta, di puntare a raggiungere il successo commerciale in modo etico e sostenibile. Il significato di ciò che è giusto o etico varia in modo significativo ed è soggettivo.
Il secondo argomento è basato sulla sostenibilità ed enfatizza la gestione dell’ambiente e della comunità che si traduce nel soddisfare le esigenze della generazione in essere senza compromettere le esigenze delle generazioni future.
Il terzo argomento riguarda la necessità delle aziende di ottenere una licenza ad operare da parte del governo e altri stakeholder.
Infine, c’è l’aspetto della reputazione e la necessità di focalizzarsi sulla CSR per questioni di immagine e brand che si riflettono sul come l’azienda viene percepita dai consumatori e sull’appetibilità dei prodotti.
Secondo Porter e Kramer questi quattro fattori hanno un punto debole in comune poiché si focalizzano sulla tensione tra business e società invece che sulla loro interdipendenza. Questo comporta che nessuno di questi elementi aiuti un’organizzazione ad indentificare e dare priorità alle sfide di carattere sociale più importanti o che possono avere un impatto maggiore.
Spesso la categorizzazione ed il ranking dei problemi sociali confluiscono nella social corporate agenda che ha una connotazione meramente passiva (Kotter e Kramer parlano di “responsive CSR”) che trova la sua espressione nel comportarsi come cittadino coscienzioso nel rispetto dell’ambiente e nel mitigare e anticipare gli effetti delle attività di business. Questo non basta. È essenziale che le diverse organizzazioni si concentrino su sfide sociali che interessano il proprio business: il test non è se una causa ha valore in sé, ma se può creare un’opportunità per creare valore condiviso, ovvero un beneficio significativo per la società che è anche di valore per il business.
Le sfide sociali che hanno un impatto sul business rientrano in tre categorie:
Problematiche sociali generiche: sono quelle che impattano la comunità in modo rilevante, ma non hanno un effetto positivo sulla competitività dell’azienda.
Impatto sociale sulla catena di valore: sono impattati in modo significativo dalle attività dell’azienda nello svolgimento delle proprie attività
Dimensioni sociali del contesto competitivo: sono i fattori legati all’ambiente esterno che impattano in modo rilevante i driver della competitività aziendale
Ogni organizzazione dovrebbe suddividere le sfide sociali in queste tre categorie per ognuna delle sue business units e luoghi di lavoro principali e successivamente fare un ranking del loro impatto. L’elemento fondamentale è comprendere che non esiste una categorizzazione unica. Infatti, per aziende quali Bank of America e che operano nel settore finanziario le emissioni di carbone rappresentano una problematica sociale generica, mentre per aziende quali UPS un impatto sociale negativo sulla catena di valore e per un’azienda come Toyota sia un impatto sociale sulla catena di valore che una dimensione sociale del contesto competitivo.
Da ciò si capisce l’importanza la CSR diventi parte degli obiettivi strategici di un’organizzazione e non solo un’opportunità per fare pubbliche relazioni ed essere dei buoni cittadini. Occorre che le aziende vadano oltre le best practice e si concentrino sulla scelta di una posizione unica che le differenzi dai competitor in modo da ridurre i costi o da offrire migliori soluzioni ai problemi dei propri clienti. Quindi che si vada oltre il concetto di buon cittadino e di mitigazione degli effetti negativi per focalizzarsi su un piccolo numero di iniziative il cui valore sociale e di business sono distintivi. Il caso Toyota è un esempio di come essere i pionieri di innovazioni possa beneficiare sia la competitività dell’azienda, che la catena di valore e anche l’ambiente. La scelta di focalizzarsi su automobili ibride con notevole anticipo rispetto ai concorrenti ha dato a Toyota un vantaggio competitivo considerevole.
Per avere un impatto significativo, che non si limiti a interventi cosmetici che possono aver un effetto boomerang (ed esempio pratiche di greenwashing che quando vengono scoperte portano ad azioni di boicottaggio dell’azienda che le ha messe in atto) occorre che la proposta di valore di un’azienda integri l’impatto sociale nella propria strategia. Si pensi a Whole Foods, la cui proposta di valore è vendere prodotti biologici, naturali e sani a clienti che hanno una passione per il cibo e l’ambiente. Questo consente a Whole Foods di applicare dei prezzi più alti rispetto ai comuni supermercati: i problemi ambientali sono nel cuore della strategia di Whole Foods e vengono rispecchiati non solo nella tipologia di prodotti che vengono venduti (che devono soddisfare determinate caratteristiche tipo non contenere nessuno dei 100 ingredienti considerati dannosi per l’ambiente), ma anche nell’utilizzo di veicoli che funzionano con biocarburante e l’utilizzo di prodotti per la pulizia nei loro negozi che sono rigorosamente rispettosi dell’ambiente
Cosa c’entra il change management in tutto questo?
La strategia aziendale deve essere implementata e per avere successo occorre un profondo cambiamento culturale e l’adozione e utilizzo da parte delle persone impattate dal cambiamento. Incorporare la sostenibilità in una modalità di operare che non sia solo cosmetica richiede l’introduzione di nuovi processi, sistemi, comportamenti critici e modo di pensare.
Il modello delle 4P di Prosci consente ai professionisti del cambiamento di supportare lo sponsor esecutivo nel focalizzarsi sullo scopo (purpose) e sui dettagli (particulars) che le persone impattate in azienda dal nuovo modo di operare in modo sostenibile devono adottare e utilizzare affinché l’iniziativa raggiunga il ROI atteso. Senza adozione ed utilizzo il nuovo modo di fare business in modo sostenibile rimarrà per lo più lettera morta e l’ennesimo intervento volto a inseguire un “trend” piuttosto che un’opportunità che la CSR diventi parte degli obiettivi strategici dell’azienda. Le pratiche di greenwashing possono portare a notevoli ripercussioni negative rappresentate soprattutto da azioni di boicottaggio e cancelling da parte dei consumatori.
Durante il corso di certificazione Prosci per i professionisti del change management spieghiamo in dettaglio il modello delle 4P e come facilitare l’adozione e l’utilizzo da parte degli individui impattati dalle nuove modalità di operare da parte dell’azienda al fine di massimizzare il ROI dell’iniziativa.